Un’opposizione fondamentale che oltrepassa la questione della (maggiore o minore) «radicalità».
La protezione animale come movimento organizzato esiste da circa un secolo e mezzo; sebbene evidentemente, a livello individuale, ci siano sempre stati atti di amicizia e di compassione senza distinzione di specie. La liberazione animale, che invece rimette in discussione i presupposti fondamentali dello specismo, è nata come movimento a partire dal 1975, anno della pubblicazione da parte di Peter Singer di Animal Liberation [1]. Anche in questo caso, le idee stesse non risalgono al 1975, poiché lo specismo è stato molto spesso rimesso in discussione nel corso della storia da parte di persone generalmente – ma non sempre – isolate, e se tale rimessa in discussione sembra oggi sconveniente a molte persone, ciò è senza dubbio dovuto in buona misura a due millenni di cristianesimo che hanno soffocato ogni volontà di considerare gli interessi non umani in quanto tali [2] (questo può sembrare paradossale a quelli che, come me, sono stati cresciuti nell’idea che il cristianesimo, almeno in teoria, professi un amore speciale verso i più svantaggiati).
Si potrebbe pensare che l’attuale movimento di liberazione animale rappresenti semplicemente il prolungamento, o addirittura il successo, del precedente movimento di protezione animale. È in parte quello che a noi piaceva pensare, quando, due anni fa, io e quattro amici abbiamo prodotto l’opuscolo Noi non mangiamo carne per non uccidere animali [3]. Sapevamo che poca gente all’interno delle associazioni di protezione animale era vegetariana, ma abbiamo preso contatto con tali associazioni perché pensavamo che le loro intenzioni fossero, almeno teoricamente, uguali alle nostre.
Siamo stati delusi. Ci siamo presto resi conto che davamo fastidio – quando non siamo stati esplicitamente insultati («mangiatori d’erba»). Gli unici che ci hanno aiutato appartenevano alla minoranza, piccola ma non trascurabile, dei militanti già vegetariani, e se il nostro opuscolo ha convinto qualche decina di persone a smettere di mangiare carne, ciò è successo sempre fuori dall’ambito della protezione animale. In seno alla protezione animale, per contro, coloro che mangiano carne sanno molto bene ciò che fanno e non hanno intenzione di smettere.
Noi speravamo ugualmente di trovare fra questi vegetariani della protezione animale degli alleati, che ci aiutassero ad imporre all’insieme del movimento una rimessa in discussione della carne. Siamo stati ancora delusi. Alcuni ci hanno aiutato a far conoscere e a diffondere il nostro Noi non…, ma senza mai impegnarsi personalmente; paradossalmente, sembravano sistematicamente voler considerare che il vegetarismo non potesse dipendere che da una scelta personale.
Era come se in seno alla protezione animale esistesse un tacito accordo per non rimettere in causa le regole basilari che determinano i rapporti fra gli umani e gli altri animali: se viene consentito di non mangiare carne, ciò deve rappresentare tutt’al più una rimessa in causa limitata agli aspetti non essenziali delle pratiche speciste, come l’allevamento in batteria. Nella migliore delle ipotesi, verrà evocata la dietetica, o il carattere «non naturale» del consumo di carne da parte degli umani, per evitare di contestare la giustezza dell’utilizzo di animali non umani a nostro piacimento, dal momento che il profitto che ne possiamo trarre è reale. Se qualcuno ammette che è per gli animali che si astiene dalla carne, nessuno arriva fino al punto di ritenere che tale questione meriti che in suo nome si rompa il consenso del gruppo, unito nella sua lotta contro il nemico numero uno: il mostro (il vivisettore).
Si potrebbe sperare che almeno sulla vivisezione noi siamo d’accordo con la protezione animale – anche se per noi tale questione non può essere che un aspetto «esotico» del problema, come la corrida o il consumo di cani coreani, finché il buon umano medio mangerà carne tutti i giorni.
Anche stavolta, siamo stati delusi. Anziché rimettere in discussione il principio dell’utilizzo di animali per un qualsiasi fine umano, la protezione animale insiste sull’«inutilità» degli esperimenti – inutilità per gli umani, s’intende.
La protezione animale, in realtà, è come la difesa legale [4]. L’avvocato – il difensore – di un ladro deve poter difendere il suo cliente, cioè chiedere che non venga condannato, o che sia condannato di meno, senza contestare le leggi che condannano i ladri. La protezione animale difende gli animali, all’interno di un sistema dato. In difesa dei cani, dirà che tengono compagnia agli anziani, in difesa dei gatti, che ammazzano i topi, in difesa dei topi, che il loro uso negli esperimenti non è affidabile. In difesa delle anatre, che il fegato d’oca è tossico, in difesa delle lepri, che la caccia uccide gli umani.
Sull’avvocato di un ladro pesa sempre, malgrado tutto, la minaccia di essere scambiato per l’avvocato dei ladri, per un loro amico, per un sostenitore del furto. È vitale, per la sua difesa, che il giudice non abbia l’impressione, se libera quel ladro, di liberare tutti i ladri. Allo stesso modo, la difesa animale avverte come vitale la necessità di non rimettere in discussione lo specismo.
La distinzione che facciamo fra protezione e liberazione animale non è una semplice questione di radicalità. I sostenitori di Hans Ruesch, per esempio, sono molto radicali nel loro rifiuto di concedere alla vivisezione il benché minimo valore scientifico, e sono quindi abolizionisti duri e puri. D’altro canto, a causa della struttura delle loro argomentazioni, sono radicalmente immobilisti, poiché consacrano una gran parte del loro tempo a vietare ogni messa in discussione dello specismo (gli argomenti etici, secondo loro, sono inefficaci, o non scientifici, o lagnosi, ecc.). Allo stesso modo, in Francia, le incursioni contro i laboratori di vivisezione sono state quasi sempre fatte da mangiatori di carne. Intanto, i liberazionisti, dal canto loro, pubblicano degli opuscoli per diffondere le loro idee. E non mangiano carne.
Se io sono per la liberazione animale, non è per la sua radicalità. Non rimprovero alla protezione animale di essere «debole» o «moderata»; le rimprovero di difendere lo specismo. Io non cerco l’estremismo delle idee, io sono per la giustezza delle idee. E lo specismo non è un’idea giusta.
[1] Peter Singer, ed. Jonathan Cape, Londra, 1975 e 1990; vd. anche Le mouvement de libération animale, P. Singer, ed. F. Blanchon, Lione 1991.
[2] Cfr. l’enciclica Solicitudo Rei Socialis di papa Giovanni Paolo II, 1988, che sembra avviare una svolta, ma in realtà non prende in considerazione gli animali se non in quanto componenti del «mondo naturale», e non come esseri dotati dei loro propri interessi e della loro propria vita da vivere.
[3] Opuscolo collettivo, ed. Y. Bonnardel, Lione 1989.
[4] Si è scelto di tradurre l’originale défense animale, in tutto il testo, con l’espressione protezione animale, più conforme al concetto italiano di protezionismo. Questo paragrafo gioca però, nell’originale, sull’assonanza fra difesa animale e difesa legale (N.d.T.).